Questa domanda mi ha girato nella testa per alcuni giorni, dopo l’incontro con i bambini di una scuola primaria con i quali stiamo realizzando uno spettacolo teatrale basato sulla storia di Peter Pan: “Ma Capitano Uncino lo deve fare per forza un maschio?”
Attori, genere e ruoli, un tema che anche in altre classi della stessa scuola è stato posto più o meno nello stesso modo. Il volto corrucciato di una femmina che si rivolge al regista con una domanda che richiama molte altre questioni.
E poi per quale forza?
La bambina ammazza-fate
La storia di Peter Pan parla di un meccanismo macabro, che avviene per un principio simile al Butterfly Effect.
Esempio tipico di Effetto Farfalla è il legame consequenziale tra il battito d’ala di una farfalla in un luogo del pianeta e lo scatenarsi di un uragano a chilometri di distanza, a partire dallo spostamento di una molecola che innesca un processo caotico esponenziale.
Nella più nota storia per bambini si racconta che ogni volta che un bambino dice “Io non credo nelle fate”, una fata muore. Un bambino nel mondo reale rinuncia ai sogni, invece che goderseli nel gioco dell’immaginazione e della fantasia, li smonta, gli stacca le ali.
La tua barba è finta
Mi è capitato durante animazioni e spettacoli basati su dialogo e improvvisazione di trovare bambini così, bambini che non stavano al gioco, che non entravano nella convenzione del “facciamo finta”.
Sono questi i veri bambini sperduti: mostrano una rigidità e un’intolleranza rispetto alle possibilità della fantasia e dell’immaginazione, non mi addentro nella loro psicologia, prendo solo il lato espressivo e quello che mi suscita per via dell’incontro nel contesto teatrale.
Sono bambini e bambine che non lasciano possibilità al “come se”, devono smascherare, vogliono l’essenza, non l’apparenza. Se facessi come loro direi che “rovinano il gioco agli altri”, ma so che c’è qualcosa di più profondo dietro questo atteggiamento e mi sforzo per integrarlo comunque.
Questi bambini protestano e insistono per negare la possibilità.
Nella classe prima della stessa scuola, ho chiesto di dividersi in due gruppi: le fatine e gli ammazza-fate. La divisione è stata subito abbastanza netta tra OdiaFate, i maschi, che iniziavano già a caricare immaginari mitragliatori, da una parte e femmine, già svolazzanti tra glitter arcobaleno, dall’altra.
Una bambina non era nel gruppo delle femmine, un po’ spaesata si era schierata tra gli assassini ed è subito stata additata: “Ma lei è una femmina, non può fare l’ammazza-fate!”
Possiamo dire che la bambina abbia cercato di spezzare uno stereotipo di genere e subito qualcuno l’ha indicata come fuori luogo. Io avevo solo chiesto di dividersi tra fatine e odia-fate e lei ha detto che le fate, le odia.
L’educazione ad andare oltre gli stereotipi deve iniziare presto, deve esserci sempre, deve agire come continua resistenza a un pensiero dominante che nei giovani e negli adulti rischia di imprigionare le persone in idee asfissianti.
Tre secondi di sospensione
Ammetto di essere rimasto per qualche secondo confuso di fronte alla veemente domanda di quella bambina: “Ma Capitano Uncino lo deve fare per forza un maschio?”.
Molte questioni mi frullavano per la testa nei confronti dell’impostazione generale del laboratorio: l’avere a che fare con 10 classi, dalla prima alla quinta, due classi per sezione, quindi 10 gruppi, ciascuno con le proprie peculiarità; 10 classi vuol dire almeno 10 insegnanti diverse, ma spesso due per classe; il compito di realizzare un musical con tutte le classi, da portare in scena alla festa di fine anno di fronte a tutti i genitori, quindi creare scene da fissare e memorizzare, mettere in sequenza; il ruolo di regista che a volte stride con l’approccio basato sull’improvvisazione, metodo che mi sfida sempre ad integrare al meglio le proposte di tutti i partecipanti fino all’ultimo minuto prima di andare in scena (Peter Brook docet).
Diciamo che preferisco lavorare con l’intelligenza dello sciame, come ho cercato di spiegare nel post “A scuola con le termiti: imparare a collaborare senza condottiero.” e che il ruolo di regista in senso classico mi sta un po’ stretto.
Ogni classe, ogni gruppo di bambini ed insegnanti costituisce una componente unica e irripetibile e per questo motivo presto sempre grande attenzione alle dinamiche che emergono nelle attività, prendendo spunti per lo sviluppo del lavoro.
Nei tre secondi di sospensione prima di pronunciare una risposta ho visto apparire all’orizzonte la questione DONNA-TEATRO nella storia della civiltà occidentale, se ne trova un breve e interessante riassunto in questo articolo: “Donne e teatro, dai pregiudizi alle celebrità. Eppure se ne parla ancora troppo poco.”
Mi sembrava occasione squisita per esplorare un tema legato allo stereotipo di genere e portare spunti educativi per tutta la classe.
La risposta
Ed infine ho risposto: “Nessuno ha detto che Capitano Uncino lo deve fare un maschio. Vuoi farlo tu?”
“Si!” ha subito esultato la bambina, innescando all’istante uno scintillio piratesco negli occhi delle compagne vicine.
“La classe cosa ne pensa?” ho rilanciato per rilevare il consenso che la proposta avrebbe riscosso.
Al che si è intromessa la maestra, diventando complice della proposta rivoluzionaria: “Allora invertiamo tutti i ruoli: i maschi fanno personaggi femmine e le femmine fanno personaggi maschi…”
Il numero di sguardi esultanti o comunque incuriositi dalla proposta mi è sembrato sufficiente per definire la questione e quando un ragazzo paffuto e con le guance imbarazzate ha alzato la mano chiedendo di fare Giglio Tigrato ho sospirato: “Ok, assegnamo i personaggi.”
(i nomi dei bambini sono di fantasia)
Filippo interpreta Wendy.
Giacomo nei panni di Trilly.
Elisa fa Capitano Uncino.
Un gruppo di femmine saranno pirati.
Michael è interpretato da Giulia.
Fabiola è nei panni di John.
Francesca sarà Peter Pan.
E via così per tutte le parti.
Al termine del giro del capocomico, con buona soddisfazione degli attori, la maestra che aveva supportato l’idea della sovversione dei ruoli, mi si avvicina con sguardo corrucciato e, a parte, mi dice sottovoce: “noo, Marco ha chiesto di fare Giglio Tigrato… quando lo saprà sua madre! Sai, è una famiglia meridionale, non so cosa succederà.” Purple flag (è la bandierina che si alza quando arriva un pregiudizio e vuol dire che bisogna fermarsi per smontarlo).
La mamma di Marco
Alla fine il musical è stato un grande successo. Le scene si sono incastrate bene tra loro, le canzoni del coro sono state integrate nella storia e nessuno si è lamentato se in un punto c’erano 9 o 4 Wendy, se Peter Pan aveva la pelle nera, se Trilli era un maschietto con la calzamaglia verde, il tutù e le alucce da fatina, e soprattutto non è arrivata la mamma meridionale di Marco a scagliare tuoni e fulmini su chi avesse messo il suo baby-macho nella parte di una piccola indiana dalla lunga treccia nera.
Tutto ha funzionato perché i bambini si sono divertiti, si sono sentiti partecipi, autori, inventori, registi della storia. Si sono impegnati perché non è stato dato loro un copione già scritto da imparare a memoria e movimenti già pensati da altri: pre-concetti, pre-giudizi.
Spesso incalzati a fare cose “per forza” (eccola che l’abbiamo trovata), possono invece abituarsi ad essere protagonisti delle proprie imprese e vanno accompagnati nell’imparare a collaborare per realizzarle.
Se poi imparano anche a sovvertire il senso comune senza essere repressi, che è una delle vie dell’arte, se riescono ad accettare punti di vista nuovi, se sono allenati a smontare il pregiudizio e ad affrontare le persone nella loro essenza, oltre l’ideologia, crescono facendo spazio alla possibilità per l’altro, per il valore dell’unicità di ciascuno, che è il primo principio per costruire la convivenza umana.
Follow up: la libreria Virginia & Co. di Monza
A distanza di mesi, mentre camminavo per una via di Monza, mi è balzata all’occhio la vetrina di una libreria. Si chiama Virginia & Co. e una sezione dei libri esposti, ha catturato la mia attenzione, facendo riemergere la domanda della bambina “Ma Capitano Uncino lo deve per forza fare un maschio?” e lo sguardo di quell’altra che non voleva fare la fatina.
Entro sentendo subito di essere capitato in un luogo speciale e chiedo alla signora seduta dietro la cassa, di cui saprò poi che si chiama Raffaella, di poter vedere alcuni titoli che mi incuriosiscono molto.
Lei ne prende alcuni, dalla zona dedicata in vetrina, altri dagli scaffali e, mentre cerca, inizio a raccontarle del mio laboratorio su Peter Pan e della vicenda legata a maschi e femmine.
“Sai che ci sono bambini maschi che si rifiutano di comprare libri con femmine sulla copertina?” mi dice, mentre sfoglio il libro sul cui fronte è disegnata una annoiata principessa rosa.
“Sul pullman una volta è capitato che ci fosse gente che si lamentava per la presenza di donne mussulmane con il velo, protestavano perché con il volto coperto non si capisce se sono maschi o femmine…”
Mi mostra alcuni libri e noto il nome di una casa editrice che non avevo mai sentito nominare: SETTENOVE.
La casa editrice SETTENOVE
E così mi passano tra le mani “Mi piace Spiderman …e allora?” di Giorgia Vezzoli che racconta le avventure di Cloe, una bambina che indossa uno zaino di Spiderman “da maschio” e affronta un mondo rigidamente diviso tra maschi e femmine.
“Ettore. L’uomo straordinariamente forte” di Magali Le Huche, storia di un uomo superforzuto del circo e della sua segreta passione… per l’uncinetto.
“Selvaggia” di Emily Hughes vicenda di una bambina cresciuta nella foresta educata da orsi, uccelli e volpi che a un certo punto viene trovata da un essere che vive in “cubi di cemento” e che vuole farle imparare “per forza” le regole della cività.
Chiedo a Raffaella il significato del nome della casa editrice e mi confessa di non conoscerlo e che andrà a vedere.
Ipotizzo che si tratti di una data e infatti, con una gugolata successiva scopro che è un riferimento all’anno 1979, anno che concentra una combinazione di eventi da tenere a mente:
- le Nazioni Unite hanno adottato la CEDAW, la Convenzione Onu per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, che per la prima volta individua nello stereotipo di genere il seme della violenza;
- con mossa audace, la Rai manda in onda il documentario Processo per stupro, di Loredana Rotondo;
- per la prima volta, una donna, Nilde Iotti, diventa presidente della Camera, assumendo la terza carica dello stato.
Un incontro casuale, passeggiando per Monza ricarica di senso la mia esperienza nella scuola: “Bisogna scrivere, parlare, discutere, giocare con il teatro, aprire e tenere spalancata la questione dello stereotipo di genere” penso, penso, penso.
Pago quello che ho comprato e saluto Raffaella, nuova amica, che mi lascia la sensazione di averne incontrata una di lunga data e mi avvio verso casa con un libro di Marzia Camarda sottobraccio.
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